Mirella, Marco e Ramon

La taverna di Ramon era lo standard dei baracci spagnoli, che detto tra noi e senza ironia sono tra i migliori in Europa nella categoria bettole. Sembra sempre che qualcuno abbia lasciato le pulizie del locale a metà e che li usi come il ripostiglio di casa, dove abbandonare le cose inutili. E in effetti sono un po’ casa di tutti, dove decantare il logorio della vita moderna con una birra, dei pinchos e delle chiacchiere a caso, anche con gli sconosciuti e gli stranieri di passaggio. Nel complesso, La Luna – Tabierna con cocina (come altro si poteva chiamare?)  era anche più accogliente della media, grazie all’ampia vetrata che dava sulla strada perpendicolare a quella del motel, benché fosse insufficiente ad illuminare tutto l’ambiente, dominato dal caldo colore del legno. Tra gli oggetti che sembravano abbandonati c’era un sediolo per bambini e delle cassette per la frutta vuote, oltre che un juke-box e una chitarra appoggiata al muro. Anche se avevano conosciuto momenti migliori, sia la macchinetta mangiasoldi che lo strumento erano perfettamente funzionanti e da lì a poco lo avrebbero dimostrato, dando all’atmosfera una sferzata di allegria che sembrava latitare quando Marco entrò. 

In quel momento c’erano solo tre avventori, ma sembravano conoscerlo tutti da come lo salutarono, compresi Ramon e Morena, che in realtà lo sapevano per davvero, essendogli stato preannunciato da Pedro. Del resto, chi poteva essere l’avventore ben vestito entrato dalla porta che dava sul motel?

“Gradisce…?” gli chiese Morena, appena si fu seduto nell’angolo più lontano dall’ingresso principale.

“Del vino”.

“Lo stesso di prima?”.

“Vada per lo stesso”. 

“Tapas?”

“Aspetto la mia signora, ma nell’attesa un pezzo di tortilla non mi spiacerebbe”. 

Gli arrivò tutto in meno di un minuto, ma fu il come ad emozionarlo: Morena lo chiamò caballero, cosa che adorava, e la tortilla era appoggiata sul bicchiere, una tapa appunto. Non vedeva servirle così dal suo primo, lontanissimo viaggio in Spagna, quando per seguire una svedese fumata finì in una taverna simile a Puerto de La Cruz. Per raggiungere in cielo la bionda del nord finì per ubriacarsi, ma riuscì a intrufolarsi nella stanza della svedese che il giorno dopo lo ringraziò per il fantastico cunnilingus ricevuto. “A true gentleman, thank you” disse la ragazza. “Un vero coglione” pensò lui che più di quello con tutto quell’alcol in corpo non aveva potuto fare. Ma fu allora che scoprì la sua vocazione e bravura per certi servizi alle signore, che in seguito avrebbe usato non solo come diversivo e arma seduttiva, ma anche per il proprio piacere: leccare, spesso, gli dava più soddisfazione che penetrare. Una caratteristica che anche Mirella aveva apprezzato subito e che in qualche modo segnò il loro destino. Di quella notte alla Canarie, Marco aveva anche un altro ricordo, ma più confuso tanto da non esserne certo: la svedese aveva zampillato- forse urina, forse umori, che allora nessuno sapeva si chiamassero squirt – e lui aveva bevuto a bocca aperta, mentre se ne stava a quattro zampe sul pavimento. Ci aveva ripensato spesso, tanto diventare una sua fantasia masturbatoria ricorrente. Altro dettaglio che la futura moglie aveva apprezzato e che li segnò.  

Mirella si fece attendere e la prima a notarla quando entrò, tallonata da Pedro, fu Morena. Passando lo straccio sul bancone, la barista abbozzò un sorriso sornione e divertito. Dotata di una quarta di seno coppa C e un fondoschiena pieno, di occhi nerissimi e profondi che sbucavano da un viso regolare circondato da morbidi riccioli, era di solito lei la regina indiscussa della taverna, alla quale zoticoni e camionisti di passaggio rendevano omaggio con mance e regalini. Per quella sera, se avesse interrogato lo specchio delle sue brame, avrebbe saputo però di non essere la più bella del reame…, ma non se ne doleva. Era donna pratica, che sapeva trarre il meglio dalle situazioni: avrebbe avuto una serata più tranquilla e tanto le bastava. L’italiana, poi, era solo di passaggio. 

Anche Mirella la notò e le rivolse un cenno del mento, prima di guardarsi in giro. Nel locale, che nel frattempo aveva acquisito altri tre avventori calò di botto il silenzio. L’attenzione di tutti i 18 occhi umani e dei due felini, appartenenti al gatto nero di Ramon, fu catalizzata dall’italiana. Aveva i capelli raccolti in un ciuffo alto, all’apparenza casuale, ma in realtà elaboratissimo, che la rendevano ancora più alta di quanto già non fosse di suo e per i sandali argento tacco 12. Tra testa e piedi, la stoffa che indossava era poca: una gonnellina nera di chiffon a più strati e una canottiera di raso bianco che le pendeva mollemente sotto al seno. Aveva gli occhi truccati di un verde più scuro delle sue iridi, che le esaltava lo sguardo, rendendoglielo acuto, penetrante e a tratti crudele. Marco quando la vedeva così pensava a Diana cacciatrice. Gli avventori, forse a causa delle loro lacune in mitologia classica o per pura schiettezza, pensarono semplicemente che fosse una portentosa femmina, forse un po’ troppo in tiro per quel posto, alla quale avrebbero offerto volentieri da bere. 

Il più lesto fu Ramon: le andò incontro con un bicchiere di vino: “questo, come quello di suo marito, è offerto dalla casa come benvenuto”. Fece un sorriso tagliente che rivelò una dentatura forte e bianchissima e si inchinò come un torero sul suo corpo flessuoso, che non doveva mai aver visto un filo di grasso. Odorava di menta e la sua mano era liscia e calda, con unghie rotonde e bianchissime che spiccavano su dita forti e abbronzate.  

Dettagli che Mirella notò, mentre prendeva il calice dall’oste, ricambiandone il sorriso.

“A papà”, propose Mirella alzando il bicchiere.

“Al professore”.

“Ti voleva bene”.

“Anche io gliene volevo”.

“Lo sapeva e apprezzava che non hai mai tentato di usare la sua potenza all’università per fare carriera”.

“Non me l’hai mai detto”.

“Volevo te lo dicesse lui, ma non ha avuto tempo. Non aveva mai tempo”.

Una lacrima a forma di bolla le si formò in ciascun occhio, per poi scivolarle lungo il naso e sulle gote come torrenti placidi e caldissimi. Marco le raccolse entrambe con la lingua. Il gesto non passò inosservato. Qualcuno lo trovò da innamorato, qualcuno erotico, altri addirittura sconcio. La purezza, si sa, non ha credito in questo mondo.  Era solo che Marco adorava la moglie e la sua famiglia e ne stava solo bevendo il dolore per farlo suo.    

 “Ordiniamo da mangiare? Muoio di fame”. Gli occhi le erano tornati brillanti e il sorriso largo, solo un po’ mesto, e stava per aggiungere “e sono arrapata anche di più, dopo ti distruggo”, ma fu interrotta appena un attimo prima dalla domanda di un avventore che se ne stava da solo con una birra in mano, nella parte meno illuminata del locale.

“Avrei scommesso che siete italiani” disse l’uomo alla loro destra con accento forse bresciano, forse bergamasco.

“Come siete finiti da Pedro? Non è posto per turisti questo, ma per camionari come me se va bene: si paga poco ed è di strada”.

“Guasto alla macchina”, tagliò corto Marco, che a differenza di Mirella aveva origini popolari e non aveva snobismi, se non quello verso gli italiani all’estero: detestava incontrarli. “Io vado di crocchette di baccalà e polpo alla gallega, dopo si vede”, continuò, rivolto alla moglie.

“Aggiungi dei peperoni e dividiamo tutto”, propose lei.

“Si mangia bene qui e anche il cibo è a buon mercato come il motel. Sono cugini, o qualcosa del genere, anche se non possono sopportarsi”, aggiunse l’uomo, che non curante della fredda accoglienza ricevuta, strisciando sulla panca si era posto sul lato del suo tavolo più vicino a quello della coppia”. Sono Roberto e faccio questa rotta una volta al mese. Se posso aiutare…”. Tese la mano. Era molle, ma enorme e nella stretta divorò le dita lunghe ed esili da ex-pianista di Mirella. 

E in effetti fu di aiuto, anche se per un dettaglio che non aveva immaginato. “Sapete, mi fermo qui ogni volta che passo: è pulito e non spendo più di venticinque euro a notte per dormire in un letto fresco”.

“Venticinque?”. 

“Più economico di così è difficile… Ma perché a voi quanto ha preso quello scannapecore di Pedro?”, chiese unendosi non invitato al loro tavolo.

Marco si limitò a scrollare le spalle e a incassare l’informazione, anche perché Pedro, per un sesto senso da portiere d’albergo si era avvicinato al tavolo degli italiani.

“Cenate con calma, ma dopo andiamo in città per il bancomat. Avrà bene da pagare anche Ramon, no?”, disse.

“Certo, dopo andiamo”, lo rassicurò Marco.  

Il locale, nel frattempo si era andato riempiendo di persone, tra le quali coppie e gruppi di amici del posto. C’era Manolo che a metà serata attaccò con la chitarra e c’era Sonia, bionda platino specializzata nel far compagnia ai camionisti, che si cimentò con discreta maestria in un’aria della Carmen e diede inizio alle danze, appena Ramon decise che era l’ora del juke-box. Chi prima chi dopo, sostenuti da importanti dosi di quel vino dissetante e acidulo, finirono per ballare un po’ tutti i clienti sotto lo sguardo attento dell’oste, cui non sfuggiva nulla. Di sicuro, non gli sfuggì il momento nel quale Marco andò in bagno e Roberto parlottava in un angolo con Sonia. Con occhiate neanche tanto furtive, non aveva staccato gli occhi da Mirella da quando era entrata e lei lo sapeva bene: le era bastato guardare verso il banco un paio di volte per averne conferma. E sapeva anche perché si stava avvicinando. 

Lo aspettò accavallando le gambe e mettendo la mano sul mento, rivolta verso la sala. Se qualcuno le avesse guardato il seno, non avrebbe potuto non notare che i suoi capezzoli erano più duri e sporgenti di un attimo prima. Ma, almeno in quel momento, nessuno stava facendo caso a lei. 

“Un ballo?”.

“Cosa ti fa credere che accetterei, hombre?”.

“Perché ballo bene?”.

“Tanti lo sanno fare e tu hai da mandare avanti la baracca”.

“Morena sa il fatto suo”.

“Non ho dubbi, ma non ci tengo a far casini”.

“Dovrei averne paura io: sei sposata”.

“Ha importanza per te che lo sia?” e indicò Morena con il mento. 

“Ah, lei… Nessun casino, è mia cugina”.

“Sai come si dice in Italia? Tradotto suona che non c’è cosa più divina della figa della cugina. Dovresti provare”.

“Chi dice che non l’ho fatto?”.

“Appunto”.

“Ma è un giretto a gratis, senza implicazioni”.

“Esistono cose gratis a questo mondo e gente che vi ci perde ancora tempo? Non credo tu”.

L’uomo si prese tempo per replicare, fissandola con le palpebre semichiuse e un sorrisetto sarcastico, che in qualche modo tradiva il lavorio in atto nel suo cervello. Non voleva mollare, ma non aveva la mossa giusta a disposizione. 

L’arrivo di Marco mise fine alla tenzone con la richiesta di un ultimo giro di vino. 

Roberto era sparito con Sonia e Pedro russava con il capo sul tavolo.

“So dell’affare del contante e del bancomat. Vi accompagno io domani, già sono d’accordo così con Pedro. Intanto, segno”, disse Ramon portando gli ultimi due calici. 

Li bevvero velocemente e prima di andare Marco se ne procurò una mezza caraffa aggiuntiva, caso mai avessero avuto sete durante la notte. Avevano fretta di restare soli, ma anche di festeggiare.

Appena entrati in camera, Mirella afferrò Marco per il pene, duro ma ancora rinfoderato nei pantaloni, e lo trascinò verso il letto, con tanta foga e disordine da farlo quasi inciampare nel treppiedi dello specchio che spostandosi, finì per riflettere la vetrata. 

“Ho bisogno di maschio. Fammi vedere quanto lo sei: ho bevuto più testosterone che vino questa sera”.

La manovra, ma soprattutto la frase della moglie, ebbero un effetto immediato su di lui: un’erezione ancora più potente, che finì subito nella bocca vorace, profonda e calda di lei. Marco sapeva al testosterone di chi si riferisse Mirella e sapeva che non era il suo. La gelosia ebbe il sopravvento il tanto che bastava per cedere il passo all’eccitazione prima e alla furia erotica dopo. Non lo facevano da almeno dieci giorni e, benché non avessero immaginato la loro prima notte di nozze così e in un posto del genere, fu esattamente quello il loro amplesso di debutto nella vita matrimoniale. 

I preliminari, contrariamente al loro solito, non furono lunghi e meticolosi, anzi furono ridotti a quel minimo necessario per riappropriarsi l’una dell’altro. Dalla breve fellatio di lei, eseguita in punta di lingua e di labbra, dalle quali il rossetto era rimasto intatto nonostante i molti calici, il fronte si era capovolto con un cunnilingus profondo, al quale Marco si dedicò con la sua solita passione e perizia. Ma lei lo interruppe, perentoria, con la voce resa bassa e roca per la frenesia.

“Spaccami marito. Tocca a te farlo questa sera”.

E a chi altri?

L’ambiguità di quella frase aumentò il vigore di lui. La penetrò nella più classica delle posizioni con lei che si teneva le cosce aperte premendo le mani sulle ginocchia. Aveva gambe magre e flessibili di chi è abituato allo yoga e non aveva necessità di forzarle. Quella posizione era di pura lussuria: le piaceva essere penetrata a quel modo e le piaceva ancor di più sottolinearlo con la postura del suo corpo.

“Entra dentro più che puoi, entra fino in fondo e fammi urlare”.

L’orgasmo di entrambi arrivò forse in un minuto, forse meno, ma fu uno dei più appaganti avessero mai avuti.

Marco si distese accanto alla moglie prendendole la mano, che baciò con gratitudine. Poi si rizzò a sedere a gambe incrociate sul letto, quando lei fece la stessa cosa.

Faticava a parlare. Erano stanchi, parecchio alticci, ma lui aveva urgenza di porle la domanda che gli girava nella testa da almeno un paio d’ore.

“Ti piace quel Ramon?”.

“Sì”.

“E si è visto. Anche lui l’ha visto”.

“Ti dispiace?”.

“Te lo faresti?”.

Mirella alzò gli occhi al cielo, passandosi la lingua sottile e rossa sulle labbra. Voleva apparire pensierosa, risultò solo sognante.

“Avessimo tempo, me lo farei, sì”.

“Cazzo Mirella, ma siamo in viaggio di nozze, anche se la apparenze direbbero altro”.

“E, certo, lo so. Ma noi chi? Chi siamo noi?”.

“Io e te”.

“Appunto. E cosa siamo?”.

“Ma che cazzo ne so. Sposi? Che ne dici, va bene come risposta?”.

“Sì e quindi cosa siamo?”.

“Ma la finisci con questi indovinelli del cazzo, Mirella?”.

“Fammi contenta, un ultimo sforzo, ce la puoi fare”.

“Una coppia?”.

“Eccolo, il mio maritino. Ultima domanda e ti mollo, tranquillo: che tipo di coppia siamo fin dall’inizio io e te?”.

C’era bisogno davvero di rispondere? Marco si limitò a guardarla nel semibuio nel quale era precipitata la stanza, dopo che il condizionatore si era rimesso in moto. Prima abbassò lo sguardo, facendo roteare il braccialetto di cuoio intorno al polso per darsi un contegno, poi lo rialzò piantandolo, interrogativo e rassegnato, negli occhi scintillanti di lei.

Mirella gli affondò la mano al centro dell’inguine e si impossessò dell’erezione persistente di lui, attirandolo ancora verso di sé. Gli baciò la bocca con la punta della lingua che saettando rapida e precisa si fece largo in quella di Marco, che si lasciò sfuggire un lieve gemito da agnellino.

“Siamo questa coppia qui: io parlo di farmi un altro, qui, in questa specie di luna di miele, e tu ce l’hai duro come una pietra. Siamo questo e a te piace, come piace a me. Quindi a quello me lo farei. E tu guarderesti… Oppure parteciperesti, non so, ma sono sicura godresti come il porco che sei”.

Tornò a baciarlo mentre la mano continuava a tormentargli il membro, ora tirandolo, ora torcendolo e scuotendolo. Lui provò a respingerla, ma era troppo tardi. Il gemito di Marco fu tutt’uno con la sua seconda eiaculazione in pochi minuti, che si sparse torrida sull’interno coscia e sulla mano di lei. Era così densa che il porpora dello smalto delle unghie ne fu inghiottito e annullato. 

Marco, sapeva che se ne avesse avuto la possibilità la moglie sarebbe andata fino in fondo, come sempre era successo quando aveva deciso, ma lei lo rassicurò: “Hai ragione, è il nostro viaggio di nozze e qui ci siamo solo per caso. Ci aspettano i localini jazz di rue des Lombards e il Canal Saint Martin. Ci aspetta la vita, qui un po’ si soffoca”. 

Nella raccolta:

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Scritto da:

Giungo per caso alla scrittura ed è per raccontare le gesta di alcuni miei amici, Mirella, Marco ed Emilio, con i quali, specifico, non intrattengo rapporti di sesso. Per loro ho scritto un romando "Mirella e i suoi uomini" e un racconto lungo, "Un'affollata luna di miele", pubblicato anche su Erhotica. Per saperne di più su di me e su di noi visitate il nostro sito e scriveteci pure. Sul sito troverete altri interessanti contenuti hot

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