Ritornando a casa

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Categoria: Etero
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Avevamo festeggiato il nostro primo anniversario con un paio di giorni in Umbria tra Foligno e Montefalco. Avevo approfittato della partecipazione ad un convegno sul Cloud della Regione Umbria per fare una breve gita enogastronomica appunto a Montefalco per degustare i due campioni del luogo: il Sagrantino ed il Rosso. Avevo fatto prenotare dalla mia segretaria nella location nei cui saloni si svolgeva l’evento, il Palazzo Bontadosi, un albergo ricavato in un palazzetto del ‘400 successivamente riadattato e semi riedificato nel ‘800. La peculiarità di questo albergo era quella di avere una SPA con una vasca di acqua naturale solforosa, intercettata da una fonte sottostante, che era ottima per lavacri e disinfettare la pelle. 

Arrivammo il tardo pomeriggio dopo il convegno, affamati perché a pranzo in pratica non avevamo toccato cibo, nonostante il buffet riservato ai partecipanti al convegno ed ai relatori. 
Un rapido salto in camera, una doccia (assieme!) e poi, rinfrescati e cambiati, scendemmo nei saloni ricavati nella hall ove era presente la degustazione. 

Vi erano una decina di stand di altrettanti produttori locali, da quello a gestione familiare all’industria con decine di dipendenti. Centinaia di bottiglie in bella mostra e assaggi accompagnati da taglieri di salumi e formaggi locali con pane e focacce freschissime. All’ingresso del percorso ci fornirono di due calici Borgogna, un tipo di bicchiere molto panciuto, in grado di far arieggiare il vino ed esaltarne le qualità ed i profumi. Non sono un esperto, ma mi piace il rosso ed il Sagrantino è nella mia personale Top 5. Avere la possibilità di scegliere tra tante bottiglie quella di mio maggior gradimento fu una piacevole esperienza. 

Purtroppo, dopo quattro o cinque assaggi, nonostante l’accompagnamento di pane, formaggi e prosciutto locale, ho dovuto dare forfait. Francesca aveva già passato la mano al terzo assaggio. 

Decidemmo pertanto di andare a mangiare un boccone in una taverna appena girato l’angolo.  Francesca era sull’allegro spinto, il vino le stava facendo un effetto magnifico, allentandole i freni inibitori normalmente tirati stretti. Era loquace, più del solito, quasi ciarliera, e fece conoscenza con una coppia nostra vicina di tavolo, anch’essi a Montefalco per la sagra del Sagrantino. 

Chiacchierammo dei nostri figli. 

“Ma voi quanti figli avete? Quattro?” e dovetti spiegarle.  
“Io ho due figli dalla mio primo matrimonio. Francesca ha anche lei due figli dal suo precedente matrimonio” spiegai. 
“Ma allora siete sposati?” chiese. 
“No, no. Ma festeggiamo stasera il nostro primo anniversario da quando ci siamo conosciuti” aggiungo, mentre prendevo la mano di Francesca e la stringevo nella mia, guardandola carico di amore e passione per questo dono del Signore. 

Il marito della signora si alzò, versò del vino nei bicchieri e disse: “Permettetemi di brindare al vostro anniversario. Sono un terapista di coppia e riconosco al volo le coppie problematiche e quelle di successo. E se mi permettete, il vostro problema è che… vi amate troppo, se fosse veramente un problema!” esclamò. 

Francesca arrossì un po’, levò il calice, toccò il mio, si avvicinò e mi baciò le labbra con delicatezza e pudore. Un castissimo bacio pregno di significati che solo io potevo decodificare. 
Altra mezz’ora di chiacchiere, scambio di telefoni e ci avviammo, un po’ malfermi, verso l’albergo. 
Ho ricordi nitidissimi di quel che successe poi, come fosse avvenuto ieri. 

Salimmo in camera e mentre Francesca era in bagno a prepararsi per la notte, mi feci coraggio e tirai fuori dalla sacca il pacchettino con il mio pensiero di anniversario. Ero passato in una gioielleria, deciso a prendere qualcosa che rappresentasse il mio amore per lei. 
Visto il rapporto non ufficiale, la regola avrebbe suggerito una collana, un bracciale, un paio di orecchini. Ma io volevo significarle il mio amore, una promessa da far evolvere verso qualcosa di definitivo, quando e se ne avesse avuto voglia. 
Decisi pertanto per un anello. 
Aiutato dall’artigiano a cui mi ero rivolto, scelsi una vera di oro bianco con un piccolo rubino rosso sangue e cinquantadue rosette di brillante, uno per ogni settimana passata assieme. Una cosa non troppo appariscente, che chiesi di realizzare ad hoc, ma nel contempo carica di profondi significati, almeno per me.
L’astuccio in cui mi era stato consegnato era semplice, piccolo e discreto, ma ovviamente tradiva l’essenza del regalo stesso. 
Attesi quindi che Francesca uscisse dal bagno, 
Si aprì la porta e ne uscì una dea racchiusa in una stupenda camicia da notte in raso lunga fino ai piedi, con un profondo scollo a V sul davanti che arrivava quasi fino alla pancia ed un enorme, profondissima scollatura sulla schiena, sottolineata da un fiocco proprio all’altezza del coccige, ove essa terminava. 

Ebbi un mancamento, La sua bellezza mi toglieva il fiato. Per un attimo mi sentii perso, poi ripresi immediatamente il controllo, mi alzai dalla poltrona in cui mi ero seduto, la presi per mano e la condussi accanto al letto. 

Quindi, con fare distratto tolsi di tasca il pacchettino e glielo diedi.
“Un pensiero per te!” le dissi, cercando di dissimulare la mia emozione. 
Francesca portò la mano alla bocca per il classico gesto di stupore. 

“Volevo che questa nostra ricorrenza avesse un senso. Non è una promessa di matrimonio, la mia. Almeno, non in senso stretto.” le dissi. 
“Però con questo mio pensiero, ti sto promettendo che mi impegnerò a proteggerti, a curarti, a desiderarti, ad amarti come se fossimo sposati. E spero che tu approvi questo mio desiderio e che lo condivida.” le dissi con voce roca. 

Senza una parola, si alzò e mi abbracciò con foga, mi baciò, mi abbracciò ancora più forte e scoppiò in un pianto a dirotto.  Nascondendo il viso sulla mia spalla, in breve le sue lacrime mi bagnarono il collo della camicia.  Ricordo che le presi il viso tra le mie mani e la baciai delicatamente sulle labbra, poi la misi a sedere sul bordo del letto, mi inginocchiai, le presi la mano sinistra e le infilai all’anulare l’anello della mia promessa d’amore.  Francesca mi lasciò fare, poi guardò la mano, mi guardò ancora e, alla fine, esclamò: “Ce l’hai fatta! Non aspettavo altro. Se avessi tardato ancora un po’, lo avrei fatto io al posto tuo, sai?” e mi fece l’occhiolino. 
Quella notte facemmo l’amore una sola volta, ma ci addormentammo abbracciati stretti stretti e così ci risvegliammo la mattina dopo. 

Avevo prenotato l’accesso alla SPA subito dopo la colazione.  Andammo nel seminterrato e attendemmo il nostro turno. Una inserviente ci dette degli accappatoi e ci invitò a spogliarci e ad immergerci in quella vasca di acqua calda e non particolarmente invitante. 

Facemmo un po’ di terapia immersi nell’acqua e coperti solo da un perizoma in carta, ma dopo una mezz’oretta Francesca volle uscire e rientrare in camera.  Un velo di tristezza ombrava il suo viso, ma non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto fino a quando non ricordai: era l’anniversario della morte del suo papà. 
La sua tristezza un po’ mi contagiò, ma capii che non aveva intenzione di farmi pesare la situazione, anzi, mi chiese di andare a fare un giro per il paese. Nel frattempo, mi chiamò la mia segretaria e mi disse che l’amministratore delegato mi aveva cercato con una certa urgenza e che aveva fissato una video-conferenza nel tardo pomeriggio. Avevo giusto il tempo di rientrare a Roma, lasciare Francesca a casa e fare un salto in ufficio. 
Ebbi però un’idea. 
Comunicai alla segretaria di spostare più tardi possibile la call e di organizzarla in modo che la potessi fare da casa, con comodo. Dopo ciò, dissi a Francesca che saremmo rientrati un po’ prima per via di quella video conferenza. Accettò senza alcuna ritrosia, consapevole del fatto che il dovere è il dovere.  

Decisi di fare tutta la Flaminia anziché passare per la E45, e giustificai a Francesca questa scelta con il desiderio di fare un piacevole giro in macchina, senza troppa fretta. Francesca annuì senza convinzione, persa com’era nei suoi pensieri. Forse non si sentiva molto bene, sta di fatto che si addormentò dopo poco accoccolandosi sul sedile, peraltro comodo, della Citroen DS. Mentre dormiva, divagavo e cercavo di capire se la sua tristezza fosse dipesa da me, in qualche modo, ma più mi arrovellavo, e più avevo la certezza di non aver fatto alcunché che la potesse aver ferita. La causa del suo dispiacere era altro. Forse era veramente triste per il papà.

Dopo poco più di un’ora e mezzo, arrivai al cancello del Cimitero di Prima Porta, dove sapevo che era la tomba del papà di Francesca. Proprio in quel momento, Francesca si svegliò, si guardò un po’ in giro e stupita mi chiese: “Ma dove stiamo? Ma che ci facciamo al cimitero?”. 
“Pensavo che avessi piacere a venire a salutare tuo padre” le risposi. 

Mi guardò con sorpresa mista a gratitudine, mi chiese di fermarmi un momento fuori, scese e corse ad un banchetto di fiori. Tornò dopo qualche minuto con una rosa rossa.  

“A papà piacevano molto le rose rosse, le regalava sempre a mamma, tutte le settimane una rosa, tutti i giorni almeno un fiore. E quando stava male, prima di morire mi disse: «Ricordati di portare un fiore a mamma, ogni tanto, come facevo io quando potevo. Mi raccomando. Ma non un fiore qualsiasi, una rosa rossa. Come quelle che piacevano a me». E ora gliene voglio regalare una io.” concluse. 

Mi indicò la strada per arrivare alla tomba. Scendemmo dall’auto e la presi sottobraccio mentre ci avvicinavamo alla lapide. Francesca si liberò della mia presa, fece un passo avanti e si chinò per poggiare la rosa sulla lapide. 
“Povero papà mio, quanto mi manchi” la sentii mormorare. Poi si allontanò con un vaso pieno di zeppi di fiori secchi, in cerca della fontanella dell’acqua. 
Rimasi un momento in disparte, cercando di non apparire troppo invadente, Poi, vedendola ritornare con il vaso ripieno, andati verso di lei per aiutarla. 

“Dammelo, te lo porto io.” le dissi. 
“No, non importa, non pesa, non ti preoccupare” mi rispose, 

Le rimasi vicino mentre metteva la rosa nel vaso, e la udii chiaramente mormorare, tra un singhiozzo e l’altro: “Perché mi hai lasciato, papà? Io ho bisogno di te. Chi mi aiuterà quando ne avrò bisogno e tu non ci sei?”,

Ebbi una sorta di fitta al cuore. Mi dispiaceva da morire sentirla così afflitta. 
Sottovoce ma in maniera chiara risposi alla sua domanda retorica: “Non si preoccupi, signor Tiziano. A Francesca ci penserò io. Glielo prometto!” e detto ciò, le presi la mano e gliela strinsi con forza. 

Francesca si girò sorpresa, mi guardò negli occhi e con i suoi occhi pieni di lacrime e di amore, mormorò “Ti amo”. 

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Mi piace raccontare di me e delle mie storie, anche del lato erotico che le ha pervase. Ma racconto anche della mia vita, dei miei amori, delle mie passioni, dei miei dolori.

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