La prima uscita

Sono passati alcuni giorni da quando ho incontrato e conosciuto Francesca. Il ricordo dei suoi baci è ancora vivido, impresso a fuoco, embossè. Ci siamo sentiti più volte, ma ancora non ci siamo rincontrati. I suoi orari non si sposano con i miei. Tra i suoi problemi a casa ed i miei, il calendario è scorso velocemente. Ho voglia di rivederla.

“Riesci a prenderti una giornata libera domani?” le butto lì su Whatsapp.

Una spunta, due, celeste. “…dipende… per fare che?” dopo qualche secondo dalla spunta blu. Ci sta pensando.

“Ti volevo proporre una cosa diversa”.
“Tipo rinchiuderci tutto il giorno in albergo?”. Diretta, schietta, immediata.
“No. Volevo proporti una giornata in una SPA, sai, idromassaggio, sauna, bagno turco, massaggi…”.
“Ti propongo io un’altra idea”.
“Ok, dimmi”.

“No, è una sorpresa. Portati un costume, un asciugamano ed un paio di ciabatte. Anzi se vieni in tuta è pure meglio…”. Prendiamo appuntamento per l’indomani mattina presto. Devo passarla a prendere vicino casa, è momentaneamente senza macchina perché è dal meccanico. “Va bene. Giusto per sapere: è molto lontano dove dobbiamo andare?”. “No, vicino Roma, tranquillo”. Visto che sono i primi di ottobre, il tempo è ancora mite e le previsioni sono ottime, mi va di andare con la Midget. Lo spider fa la sua porca figura.

Mi aspetta alla fermata del bus, una sacca sportiva accanto a lei, vestita in maniera molto informale, twin set crema su jeans skinny, stivaletto con tacco nemmeno troppo alto color tabacco ed una borsa di Fendi. Anche la sacca è griffata Fendi. Un rapido saluto dall’auto scoperta, uno sguardo sorpreso e poi un sorriso di contentezza. L’ho un po’ stupita.

Bacio fugace e casto sulle guance. Butto la sacca dietro i sedili, le apro lo sportello da dentro e la faccio accomodare. Non è facile entrare se non si conoscono i trucchi: prima una gamba diritta, poi l’altra.

Si parte. “In che direzione?”. “Prendi la Roma Civitavecchia ed esci a Civitavecchia Nord.”

“Mi sa che ho capito…”.
“Ah si? E dove andiamo allora?”.
“Alla Ficoncella!”.

La Ficoncella è un insieme di pozze d’acqua termale costruite a valle dei ruderi delle Terme Taurine fatte edificare dall’imperatore Traiano nel secondo secolo. L’acqua è molto calda, ricchissima di zolfo che dopo un po’ precipita formando delle pellicole e delle masserelle che sembrano sporco, ma in realtà è un toccasana per una serie di malattie, dalle dermatiti alle affezioni sessuali, un rimedio naturale ben conosciuto dai locali che l’affollano anche di inverno, visto che le vasche sono anche a 80 gradi. C’ero stato da ragazzo con gli amici, poi vista la vicinanza con Porto Traiano, dove avevo la barca, avevamo provato una volta ad andarci dopo cena ma la folla lo aveva reso impossibile. E comunque avevo un ricordo un po’ naif di queste pozze e delle pellicine galleggianti.

La conversazione in uno spider degli anni 60 senza capote è virtualmente impossibile se si viaggia a più di settanta all’ora. Decido quindi di non prendere l’autostrada e di passare per l’Aurelia, tanto a bassa velocità ci si mette poco di più. Arriviamo dopo un’ora abbondante alle terme, paghiamo il biglietto (che poi è per il parcheggio) e spengo la macchina. Le chiedo se conosce il posto bene e come funziona.

“Possiamo prendere uno spogliatoio, ma forse è un po’ tardi. Vediamo cosa c’è.” e si reca al bar per informarsi. “C’è solo uno spogliatoio funzionante, per cui dobbiamo attendere il turno”.

Ci mettiamo a chiacchierare in attesa che le persone davanti a noi si cambino e ci lascino il posto; ma pare che le operazioni vadano a rilento: bimbi urlanti, madri ululanti, nonne e zie pedanti e mariti sbuffanti. E’ passata già una mezz’ora. Finalmente tocca a noi.

“Senti, entriamo assieme, ti va? Così facciamo prima”. Figuriamoci, tra palestra e barca sono abituato ad esporre le mie nudità senza problemi, per cui va benissimo.

Lo spogliatoio è poco più di una cabina doccia, in due ci si entra a mala pena e ci sono appena una panchetta e due sedie. Guardo di sottecchi Francesca che apre la sacca, toglie la roba ed inizia a spogliarsi. Sfila il twin set, poi i jeans rimanendo in intimo, reggiseno nero e perizoma abbinato, assolutamente non volgare. Io non porto intimo, mi piace stare freeballing quando posso, per cui mi giro di spalle per rispetto nei suoi confronti, anche per concederle il modo di infilarsi il costume. Indosso il mio Speedo (demodé, ma va bene così) e mi giro. “Sono pronto” “Anch’io…”. È rimasta in intimo nero. Se non lo sapessi, direi che è un normale costume in microfibra. Si panneggia con un telo, infila le giapponesine ed apre la porta. La imito e la seguo.

Arriviamo alle vasche, quelle praticabili sono due o tre, più si scende a valle meno l’acqua è calda e ci si può immergere un po’ di più. Ovviamente, sono molto affollate. Ma per magia dopo una mezz’ora si svuotano e noi possiamo prendere possesso di quella un po’ più ampia assieme ad altre coppie. Passa il tempo, si chiacchera del più o del meno anche con le altre persone e faccio sfoggio della mia erudizione spiegando ad un grossetano con la sua signora le origini nobili del suo paese e la sua discendenza dagli Etruschi da me tanto amati. Francesca si fa stretta, mi abbraccia da dietro e si struscia un po’ su di me; appoggia le sue labbra all’orecchio e sussurra un “Andiamo”. In effetti è un bel po’ che siamo in acqua.

Rientriamo nello spogliatoio, mi sfilo il costume, apro la doccia per togliere un po’ di zolfo dalla pelle certo di essere spiato. Mi giro verso di lei nudo e un po’ “fluffy”. Sono tutto depilato e faccio una bella figura pur non essendo un superdotato. Anche lei si è sfilata l’intimo ed è nuda, totalmente depilata meno una piccola striscia sul pube, una “landing strip” ben curata. Reagisco con un ulteriore pulsione al basso ventre, ma mi rinfilo subito i pantaloni della tuta e la polo. Francesca entra sotto la doccia ed inizia a sciacquarsi dandomi le spalle. Ha un bel culo, sodo ed eretto. Da dietro sembra ancora una trentenne, senza un filo di cellulite o di grasso superfluo. “Mi passi il telo per favore?” mi chiede. Lo apro e anziché porgerglielo, la avvolgo con delicatezza chiudendolo sul davanti ma senza toccarle la pelle. Un rapido strofinio per asciugarle la schiena e le spalle e mi distacco da lei. “Ti aspetto di fuori” le dico, per evitare di saltarle addosso nello spogliatoio.

Non devo attendere molto. Dieci minuti, ed è fuori. Radiosa, si è cambiata. Non indossa più i pantaloni, ma una gonna plissé longuette con lo stesso twin set ed un paio di ballerine. Al collo, un giro di perle e due orecchini sempre con perle ai lobi. Un foulard buttato sulle spalle. È stupenda, semplice, un filo di trucco leggero e rossetto appena pronunciato. Porta i capelli sciolti, ancora umidi, ma sembra appena uscita dal parrucchiere. Le capacità miracolose di alcune donne di sapere sempre prima come vestirsi e cosa portarsi in ogni occasione mi stupisce!

Sono quasi le tre del pomeriggio, i ristoranti sono chiusi e forse possiamo trovare solo un po’ di pizza da Mastro Titta. Montiamo in macchina, la capote sempre abbassata, e via verso il mare. Francesca è languidamente distesa, per quanto le è permesso dallo schienale del sedile quasi verticale, visibilmente eccitata. I capezzoli spingono il leggero tessuto del twin-set, deduco che non si è rimessa il reggiseno bagnato. Non ha il seno di una ragazza, ma ci sono ragazze che pagherebbero per ricorrere al chirurgo per avere un seno come il suo. E visto che ha avuto due gravidanze e relativi allattamenti, direi che la natura l’ha aiutata molto, anzi…

Mangiamo un po’, dividiamo una birra piccola e risaliamo in macchina, direzione Roma.

Controllo nel cassettino della macchina, ci dovrebbero essere le chiavi del portello della barca che ho in società con gli amici, ormeggiata al Porto di Traiano; ci sono, abbiamo un posto dove stare un po’, se vuole.

Arrivo alla Marina e giro per il porto, dopo averle chiesto se le andava di accompagnarmi perché, visto che c’ero, volevo vedere se avevano completato i lavori di manutenzione.

“Perché, hai una barca?” mi chiede sorpresa. “Beh, diciamo di si, in realtà è in società con alcuni amici e ce la dividiamo d’estate o facciamo qualche piccola crociera assieme” le rispondo. “Ma non ti credere, è solo una barca a vela da quindici metri, grossa ma non enorme. Ci si entra in sette/otto, una sorta di grosso camper marino” preciso.

Acconsente senza problemi. Mi faccio riconoscere dalla guardia al passo carraio, scendo per parlare e attendo di poter entrare con la macchina. È ottobre, giorno feriale, c’è tutto il posto possibile anche all’interno del porto e parcheggio proprio di fronte alla barca, uno Swan 45 di sette anni fa, una bella barca veloce, quasi da regata, ma molto comoda e rifinita negli interni. La prendemmo da un fallimento pagandola cash un terzo del valore di mercato: un vero affare. Il problema sono i costi fissi, il porto, le tasse, la manutenzione… da solo non ce l’avrei mai fatta, ma in quattro soci è gestibile.

“Vieni?” le dico scendendo dalla macchina. “Aspetta che metto la passerella, apro e ti faccio salire a bordo”.

Avvicino la barca al molo, serro un po’ gli ormeggi a poppa, salto a bordo e abbasso per prima cosa la passerella, dopodiché apro il portello del tambucio, scendo sottocoperta e apro il boccaporto di prua per arieggiare un po’. Risalgo a poppa e la vado a prendere.

“Ce la fai o vuoi una mano?” le chiedo. La vedo un po’ impacciata, forse non è mai salita su una barca a vela e percorrere una passerella stretta trenta centimetri non è proprio agevole. “Togliti le scarpe per favore prima di salire a bordo” le chiedo con gentilezza. Si avvinghia con una mano al paterazzo mentre con l’altra si sfila elegantemente le ballerine, mostrando un filo di coscia. Le vado incontro e la sorreggo per farle scendere il gradino che porta al pozzetto, poi decido di prenderla per la vita, sollevarla e poi adagiarla nel pozzetto stesso. Nel prenderla la serro all’altezza dei glutei, e la gonna leggera le sale scoprendole completamente le gambe. La poggio delicatamente e le dico, sorridendo “Benvenuta a bordo!”.

La guido per la scaletta che porta in cabina, le mostro un po’ l’ambiente e, mentre le spiego un po’, apro i gavoni e gli stipetti per vedere se ci fosse qualcosa per bere o fare un caffè. Trovo una busta di capsule Nespresso, accendo la macchinetta e inizio a preparare.

Francesca si è fermata nella cabina di prua ad osservare qualche foto appesa alla parete accanto alla toilette. “Posso andare un momento in bagno oppure???” immaginando che in porto non si possa andare in bagno. Accendo le pompe dell’acqua e del WC chimico, sperando che ci sia acqua a sufficienza per lo sciacquone e per lavarsi. Controllo al volo l’indicatore e verifico il tutto. Ok, ci sono 400 litri d’acqua, ci possiamo fare cinque docce.

Preparo il vassoietto con le due tazzine, le metto accanto zucchero e dolcificante: non so come lo prenda.

Sento la pompa che si attiva, ha tirato l’acqua e aperto il lavabo. Mi aspetto a momenti di vederla uscire. Scatta il chiavistello e si apre la porta. Dio che bella che è… una lama di luce che filtra dal boccaporto di prua rimbalza sul pavimento tirato a lucido e si riflette tra i suoi capelli e evidenzia in trasparenza le sue gambe. È uno spettacolo. Inizio a sentire un certo movimento in mezzo alle gambe e mi rendo conto solo ora che diventa evidente visto che non porto biancheria e che i pantaloni della tuta sono abbastanza fascianti.

Le porgo il caffè e la invito a mettersi comoda alla dinette. Per entrare dietro al tavolino, deve scorrere il divanetto e facendo questo movimento solleva la gonna scoprendo di nuovo le gambe fino quasi al fianco.

Un’altra morsa mi stringe l’inguine che inizia a crescere evidente in volume. Fortuna che sono in penombra e non può vedere bene… almeno spero.
Mi chiede di mettermi vicino a lei, battendo la mano sul divanetto della dinette.

“Mi è piaciuto molto stare con te. Anzi, mi piace molto. Mi piaci molto” mi dice con voce roca.
“Anche a me. Mi piaci molto, Francesca, sei una donna molto bella oltre che intelligente. Sei veramente una piacevolissima conoscenza, anche se io vorrei di più…”.

Mi avvicino alle sue labbra ed inizio a baciarle delicatamente, stringendole tra le mie. Poi le passo un dito sulla bocca, lo appoggio in mezzo alle labbra e lei lo prende in bocca, succhiandolo con voluttà.

La porto a me ed inizio a baciarla con passione, sfiorandole il corpo con la mano che si sofferma sul lato del seno e poi scende verso la coscia. Ma è solo un attimo. La prendo per mano e la conduco in cabina a prua. Sono molto eccitato, il mio pene vuole bucare i pantaloni della tuta, sembra una tenda canadese.

“Ti va di far l’amore?” le chiedo, mentre la accarezzo i glutei attraverso la gonna ed infilo la mano sotto al pull sulla schiena, accarezzandola mentre continuiamo a baciarci con la passione di due adolescenti.

C’è nessuno a bordo? Dottò, so’ er meccanico. Ero ito a pijà i pezzi pe’r motore”. Stramaledetto lui, il motore e chi ce lo ha chiamato.
“Ah, va bene… che le devo dire? Faccia quel che deve fare” mentre cerco disperatamente di far sgonfiare l’attrezzo e Francesca si rassetta il pull e si alliscia la gonna. Le basta un attimo ed è già perfetta.

La faccio salire davanti a me per la scaletta e approfitto per sollevarle un po’ la gonna da dietro. Cazzo, non porta gli slip! Niente, non è giornata. Non me ne va bene una che fosse una.

Oramai è tardi, dobbiamo iniziare a rientrare a Roma. Rimontiamo in macchina e ripartiamo.
Approfitto dopo un po’ di chilometri per metterle una mano in grembo ed accarezzarle il pube. Francesca mi facilita un po’ le cose allargando le cosce ed io ne approfitto per sollevarle la veste e sfiorarla dal vivo. Sotto è tutta liscia, e si capisce che è visibilmente eccitata dall’umido tra le sue pliche. Provo ad infilare un dito ma lei con fare deciso mi allontana la mano. “Pensa a guidare!” mi dice.

Ci riprovo dopo Cerveteri, stesso approccio, stesso obiettivo e, ahimè, stesso finale.
Niente da fare, non è cosa. Volevo fare l’amore, volevo stare con lei ma non è stato possibile.

“Ti riaccompagno, dove devo lasciarti?” le chiedo quando siamo sul Raccordo all’altezza della Roma-L’Aquila.
“Verso la Tuscolana, se non ti dispiace” mi risponde.
“Ma come, non stai al Quarticciolo?” le domando con aria indagatrice.
“Devo andare a casa da una persona che abita lì a Cinecittà, devo vederla per mia madre. È un medico”.
“Ah, scusa, non sapevo. Ma come fai per tornare? Vuoi che ti aspetto?”.
“No no, non ti preoccupare, con il 451 sono a casa in 20 minuti.”.
“Dai, non ti preoccupare. Ti aspetto e ti riporto a casa io”.
“Ti ho detto di no, non mi serve, grazie.” un po’ seccamente. Da quel momento non le ho più parlato per almeno dieci minuti, fino a che non ho imboccato la Tuscolana dal Raccordo.
“Scusami Paolo, ma è una situazione un po’ complicata e non mi va di parlarne. Ti prego, non insistere.”
“Hai un altro, vero?” le chiedo, già immaginando la risposta.
“No, si, non in quel senso. Insomma, No.” Ecco, un po’ meno sicura. Combattuta tra il dire ed il non dire, tra affermare e negare. L’eterna alternanza tra bene e male, tra buono e cattivo.
“Non andare, resta con me stasera” le dico.
“Non posso. Scusa.” Siamo arrivati, scende dall’auto, prende la borsa e la sacca. Ecco perché aveva già i cambi pronti.

Ero rimasto in macchina, molto seccato della situazione, già pensando con fastidio alle cazzate che mi aveva propinato. Si avvicina alla mia parte, si china e mentre mi prende con delicatezza la nuca mi avvicina alla sua bocca e mi bacia con molta dolcezza. Un bacio profondo ed appassionato, che mi ha fatto sentire la scossa fin alla cima dei capelli.

“Ci sentiamo domani” mi dice con voce mielata mentre mi guarda negli occhi. “Buona notte e grazie di tutto” aggiunge.
“Ciao” è stata la mia risposta, più simile ad una “Si, buonanotte a ‘sto cazzo…’sta stronza”.
Ingrano la prima e me ne vado senza guardare né dove fosse né dove andasse.

Mentre tornavo a casa mi davo del cretino per essermi esposto così, per esserci cascato, lamentando la mia cattiva sorte che continuava a perseguitarmi.

Prendo il telefono e provo a chiamarla: “l’utente da lei selezionato non è al momento raggiungibile: si prega di richiamare più tardi” è la risposta impietosa.

Va bene. È il momento di metterci una pietra sopra. Chiamo allora un’amica della mia ex, che sapevo aveva litigato con lei ai tempi del divorzio e che mi aveva sempre offerto supporto morale e materiale: ovvero, un pasto completo ed una bella scopata. “Giovanna, sono Paolo, che fai stasera? Ah, sei impegnata? Ah, ok… Domani? Beh, perché no… anche domani, si… nel pomeriggio dici? Va bene. Ti chiamo io dopo pranzo domani…”. Fatto. L’indomani sarei andato a trovare Giovanna nel pomeriggio, sapendo già come sarebbe andata a finire.

Passo la sera col telefono in mano, in attesa di ricevere un messaggio, una chiamata, un SMS. Niente. Muto. Avrei voglia di sbatterlo al muro dalla rabbia.

Vado a letto, sperando che la notte porti consiglio.

Scritto da:

Mi piace raccontare di me e delle mie storie, anche del lato erotico che le ha pervase. Ma racconto anche della mia vita, dei miei amori, delle mie passioni, dei miei dolori.

2 commenti

  1. TT
    26/07/2023
    15:34

    Bellissimo e appassionante, il tuo modo di scrivere è estremamente piacevole, altrettanto lo è la storia!

    1. 27/07/2023
      00:46

      Grazie TT.
      Spero che ti piacciano anche gli altri capitoli.

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