Voglia

Entrammo in ospedale camminando l’uno di fianco all’altra, senza dire una parola.

Potevo sentirmi calda ed umida fra le cosce, con il tessuto delle mutandine ancora piene del suo orgasmo conquistato un attimo prima.

Ero così eccitata da provare piacere nel sentire il tessuto sfregare contro la mia figa gonfia di desiderio.

Il pensiero che nessuno sapesse o potesse anche solo immaginare, mi faceva sentire deliziosamente colpevole.

E mi piaceva.

Arrivammo nella stanza di Cristina, dormiva.

Venni imnediatamente pervasa dal desiderio incontrollabile di farmi scopare lì, in quella stanza e in quel momento, il rischio non faceva altro che aumentare la mia voglia di fare impazzire quell’uomo.

Lui era appoggiato alla parete, sul fianco, mi guardava mentre riponevo ordinatamente gli indumenti che avevamo portato da casa.

Lasciai cadere di proposito una maglietta sul pavimento, proprio davanti ai suoi piedi, e lo guardai…

Raccoglila” disse, quasi sibilando.

Mi piegai lentamente sulle ginocchia, restando ferma in quella posizione continuando a guardarlo, se non per un breve istante quando il mio sguardo si concentrò sulla cerniera dei suoi pantaloni, riportando lo sguardo nel suo e alzando maliziosamente il sopracciglio.

Non mi guardare così, alzati.

La sua voce, così austera, mi faceva tremare. Sentivo la mia fighetta pulsare.

Eseguii il suo ordine, giusto in tempo per il risveglio di Cri.

Le sorrisi, sporgendomi in avanti per salutarla con un bacio sulla guancia.

Sapevo che lui avrebbe guardato l’orlo della mia gonna salire, e coprirmi appena le natiche tonde.

Lui fece lo stesso, eseguendo lo stesso movimento dietro di me per salutare la figlia, posandomi una mano tra spalla e collo, mentre si sporgeva.

Quel tocco mi fece eccitare.

Restammo lì per un’oretta, a chiacchierare del più e del meno, fra giochi di sguardi e vicinanze pericolose.

Cristina non poteva immaginarlo, non poteva sapere che cosa stava bagnando le mie cosce, non poteva sapere quanto in quel momento desiderassi il cazzo di suo padre.

Finito il momento delle visite, l’infermiera ci invitò a lasciare la stanza.

Per favore papà, accompagnala ancora tu a casa, si è fatto tardi” disse Cristina, dolcemente.

Certo tesoro“, e la sua risposta risuonò come il più provocante degli inviti.

Era ormai buio fuori, il parcheggio riservato era quasi vuoto.

Salimmo in macchina, non riuscivo a distogliere il pensiero del ricordo del suo sapore…

Lo volevo, e lo avrei avuto.

Mentre stava  per mettere in moto, lo fermai, posando una mano sul suo polso.

Lo so che cosa vuole, perché non me lo chiede?” dissi a mezza voce, incantata in quel momento dalle sue labbra circondate dalla barbetta grigia incolta.

Smettila” disse serrato.

Nessuno verrà a saperlo… Non ho intenzione di usare questa bocca per parlare” dissi sibilando.

Smettila…” ripetè, ma il suo tono era cambiato.

Sfilai di nuovo le mutandine, aprendo le gambe. Mi voltai appena sul sedile. Volevo lui mi guardasse, volevo farlo impazzire.

Iniziai a toccarmi, riempiendo le dita dei miei umori… Le avvicinai alle sue labbra.

Lui afferrò il mio polso, esitando per un istante, per poi succhiare le mie dita, avido.

Dio, quanto sei buona…” mormorò con gli occhi chiusi.

Sorrisi. L’idea che avesse gustato il mio sapore misto al suo mi faceva morire.

Si guardò attorno e scese dall’auto.

Aprì da galantuomo la mia portiera, mi fece scendere e aprì la portiera posteriore. 

Con modi quasi bruschi mi face sedere e lì notai un rigonfiamento nei suoi pantaloni. 

Mi resi conto in quel momento di quanto effettivamente fosse spazioso lì dietro, e che i vetri erano oscurati.

Una volta richiusa la portiera, non ebbi dubbi su ciò che volevo ottenere. 

Gli chiesi di distendersi come poteva, dimenticando per un momento la comodità. Mi sollevai quindi la gonna fino a sopra i fianchi e mi sedetti sul suo viso.

Fui pervasa dalla sensazione della sua lingua calda e abile che mi leccava, affamata. Sentivo la sua barbetta torturarmi le grandi labbra. Gemetti, godendo di quel momento di piacere esclusivo, ma la voglia di prendere in bocca il suo cazzo ebbe la meglio.

Mentre mi divorava e mi scopava con la lingua, gli slacciai la cintura e sbottonai i pantaloni, potendo finalmente avere piena visione di quel cazzo magnificamente duro e pronto per me.

Mi chinai su di lui e iniziai a succhiarlo come se non avessi desiderato altro nella vita.

La sua cappella, gonfia e bagnata, era così liscia e invitante… La leccai, ansimando di piacere, per poi lasciarlo scivolare per tutta la sua lunghezza fra le mie labbra. Raccoglievo con la lingua fino al più piccolo rivolo di saliva e umori che osava sfuggire alle mie labbra, e miagolavo come una gattina in calore, quando le sue mani mi allargavano le chiappette.

Lo sentii gemere forte, e respirare affannosamente, mentre muovevo la mia figa sulle sue labbra.

Stavo succhiando il cazzo del padre di quella che in quel momento poteva essere la mia migliore amica. Mi sentivo come una piccola ed abile troietta, e questo non provocava in me nessun senso di colpa.

Ne volevo, anzi, ancora di più.

Volevo lui riempisse la mia bocca della sua sborra.

Iniziai a muovere il bacino sulla sua faccia, aumentando di conseguenza il ritmo della mia bocca e delle mie mani sul suo cazzo. Ansimavo e mugolavo e sentivo la sua lingua sguazzare nella mia figa fradicia. 

Il suo respiro si fece pesante e sentii le sue palle indurirsi sotto le mie dita.

Mhh, oh sì…” gemetti, staccandomi solo per un secondo, prima di infilarmi quel cazzo turgido e pulsante fino in gola. Mi soffocai quel tanto che mi bastava a farmi bagnare di più e ripresi a succhiarlo finché non sentii il suo corpo tremare.

Serrai la bocca attorno al cazzo e lui, con un verso da animale che per poco non mi incendiava, mi esplose in gola. 

Sentivo i caldi fiotti di sborra riempirmi la bocca e io li ingoiavo. Restai lì, attaccata, finché non fu passata la tempesta. 

Mi staccai da lui dopo aver ripulito la cappella con la lingua, assicurandomi di non lasciare avanzi, ed educatamente glielo rimisi nelle mutande. Poi mi scostai dal suo viso, fradicio dei miei umori, e mi avvicinai per leccargli le labbra dal mio stesso sapore.

Ora possiamo andare.” dissi sospirando.

Lui rimase lì, senza fiato per qualche secondo. Si rialzò e si riabbottonò i pantaloni senza dire nulla. 

Scese dalla macchina, mi aprì entrambe le portiere per farmi tornare davanti, e ripartì.

Mi portò fin sotto casa in un viaggio molto silenzioso. Ma non era imbarazzo. Era voglia. Voglia di averci ancora e non poterlo dire. Ma per quanto non vedessi l’ora di sentirlo dentro di me, non era ancora il momento.

Quello sarebbe arrivato molto presto.

Scritto da:

Sono una ragazza pugliese trapiantata nell’affollata Milano. Molti dei miei racconti sono situazioni realmente accadute, che scrivo perché io stessa possa riviverle. Spero apprezzerete. Twitter: @theslatstur

4 commenti

  1. Pasquall
    02/07/2024
    17:20

    Ben scritto e..ben fatto..

    1. max
      03/07/2024
      00:25

      Brava la nostra giovane pugliese …. ti porterei io in auto la prossima volta !!

  2. William Kasanova
    02/07/2024
    18:51

    Ottimo racconto, sempre più sensuale. Attendo con impazienza il proseguimento.

  3. Giacomo
    07/07/2024
    16:47

    Mimí, sei fantastica come sempre, ho appena finito di leggerlo, a parte il fatto che è ben scritto, i tuoi racconti sono sempre molto eccitanti…. Hai una carica erotica formidabile😊😊♥️♥️💋💋❤️🥰🥰🥰, complimenti tesoro ♥️♥️♥️

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